A Napoli in tre giorni è passato tutto il mondo del counseling. Vi hanno partecipato oltre 800 persone, di cui 350 in presenza. Trenta i Paesi rappresentati, infinite le pratiche, i modelli, gli sguardi condivisi. Non potevamo mancare.
E quindi, in attesa del prossimo numero di Evoluzioni, che conterrà molte interviste alle protagoniste e ai protagonisti, e approfondimenti dei contenuti di questa Iac Conference, ecco gli highlights delle tre giornate raccontate della nostra redazione, che ha seguito l’evento (scarica qui il programma) sia sul campo che online, per raccogliere per voi i temi più interessanti, le presentazioni più accattivanti, le relatrici e i relatori da non perdere. Buona lettura!
IL SENSO DI UN VIAGGIO
“La vita è un viaggio”, ci ricorda Alessandra Benedetta Caporale e con lo spirito dei viaggiatori ci apprestiamo ad affrontare anche questo percorso, come comunità globale di pratica composta da counselor della sfera educativa, accademica e di ricerca, con l’obiettivo di fare la nostra parte nello sviluppo della professione attraverso un evento che ha coinvolto 800 persone, in presenza e on line e in cui ogni continente e regione del mondo è rappresentato. Le conferenze Iac sono occasioni molto piacevoli che creano connessioni, attivano reti e trascendono i confini geografici, ma offrono anche la possibilità di esprimere gratitudine e generare connessioni fra counselor, tra esperienze di impegno sociale e politico.
DIFFONDERE UNA NUOVA CULTURA DEL COUNSELING
William Borgen, nel confermare l’endorsment al sodalizio virtuoso che si è creato tra Assocounseling e Iac, ribadisce l’importanza di diffondere una nuova cultura del counseling, che favorisca giustizia sociale e inclusione e che sia accessibile a tutti. Invita i professionisti presenti a lavorare e a diffondere buone practice, scalabili e misurabili.
L’EUROPA CI È GRATA E RICONOSCE IL NOSTRO RUOLO
Nel suo illustre intervento Roberta Metsola, Presidente del Parlamento Europeo richiama il potere evocativo delle parole resilienza e wellbeing, come strumenti evolutivi per affrontare cambiamenti e sfide del mondo globalizzato.
Il diffondersi di ansia, paura del futuro e l’aumento delle problematiche di salute mentale, hanno portato sui tavoli istituzionali del Parlamento Europeo l’urgenza di pianificare interventi mirati, che possono e devono contemplare l’utilizzo delle competenze dei counselor. Il loro lavoro, infatti, può consentire di monitorare la salute mentale di 1 persona su 6 a rischio di decesso, e di aiutare chiunque a riprendersi dalle avversità, gestendo angoscia e stress con una molteplicità di strumenti, che vanno dall’utilizzo di pratiche di mindfulness all’attivazione di reti di supporto.
“Siete parte di una rete. Grazie per lo sforzo che state facendo”, conclude la Metsola.
LAVORARE SULL’IDENTITÀ DEL COUNSELING, ABBRACCIARE IL PROPRIO HERO
Christine Suniti Bhat, Presidente Eletta dell’American Counseling Association (Aca) affronta il tema del capitale psicologico, attraverso un suggestivo speech dal titolo “Look Within and Find Your HERO!”.
La Bhat parte da una premessa: come counselor, dobbiamo lottare per evitare la frammentazione dei profili professionali e avere un sistema di certificazione unico. Quattro sono le aree strategiche su cui si sta concentrando l’Aca: attività di advocacy e di engagement della popolazione target; creazione di community e partnership virtuose; lavoro di istruzione e educazione del pubblico alla consapevolezza; ricerca e pratica applicata, in collaborazione con istituzioni accademiche.
I principi ispiratori si rifanno a una cultura inclusiva, a pratiche etiche, Dei (Diversity Equity Inclusion), giustizia e responsabilità fiscale. È indispensabile, però, lavorare sull’identità del counseling, espandendone il background e uniformando i percorsi formativi di accesso alla professione su standard alti.
Il modello di lavoro proposto dalla Bhat consiste nel ricercare l’eroe nascosto in ognuno di noi. Le persone che chiedono il nostro aiuto lavorano duramente per superare le sfide, ma hanno anche a disposizione quattro tipi di capitale, che rispondono a 4 diverse domande:
1. Capitale psicologico: chi siamo?
2. Capitale sociale: chi conosciamo?
3. Capitale economico: che cosa possediamo?
4. Capitale umano: che cosa sappiamo?
Ma quali sono gli strumenti per trovare il proprio HERO? E come ne misuriamo l’efficacia? Lo capiamo attraverso le parole stesse che formano l’acronimo: Hope (Speranza), Efficacy (Efficacia), Resilience (Resilienza) e Optimism (Ottimismo).
Ed anche noi come counselor, se vogliamo ottenere un buon impatto in termini di performance, dobbiamo abbracciare il nostro HERO.
IL COUNSELING E I TEMI AMBIENTALI
Il contributo di Anna Castiglione, Ricercatrice di psicologia ambientale all’Università di Trento, formatasi presso l’University of California dal titolo “Building Climate Resilience and Personal Well-being” ci ha particolarmente colpito, perché esplora i temi dell’angoscia legata ai cambiamenti climatici e ci indica la strada per costruire resilienza e benessere. Efficace è il generare cambiamenti dal basso: attraverso percorsi individuali (da “un punto nello spazio” a tutto il mondo, così come in ambito sistemico). Con la consapevolezza dell’influenza di certi paradigmi sulle nostre scelte, come il “giudizio”, inteso nelle sue molteplici declinazioni (se alcune azioni riscuotono un’accettazione sociale positiva, siamo più incentivati ad intraprenderle). Ma ha i suoi effetti anche il fare leva sul lato creativo, sull’immaginazione. Nel corso di un laboratorio, i partecipanti hanno descritto come sarebbe stato per loro, fra 100 anni, un mondo più pulito e vivibile. Ed il pensarlo, attraverso tutti i sensi e la scrittura, lo rende reale, possibile. Spesso ci concentriamo sui costi di comportamenti virtuosi (la dieta, una vita attiva…), e non sui benefici, utilizzandoli come pretesti: costa troppo, non ho tempo… È importante anche lavorare su un’identità ambientale, su come ci sentiamo “protettori” e in sintonia con la natura, perché la motivazione interiore garantisce costanza. E sull’identità civica: pensiamo alla percezione del sentirsi o meno ascoltati dai centri di potere, ed ai frutti di un impegno nella ricerca di relazioni di fiducia – anche piccole – con le istituzioni. Tanti aspetti, quindi, per pianificare cambiamenti ambientali attraverso attività educative e civili. Ma come uscire da quel malessere emotivo, dalla sensazione di caducità e impotenza, che può sfociare in ansia? Cambiando la posizione, il punto di vista: dalla percezione del rischio all’agire. E noi counselor, che promoviamo il benessere sociale, e abbiamo accesso ad una buona fetta di popolazione, possiamo fare molto nei percorsi di consapevolezza rispetto al rischio, e nell’esplorazione di alternative di resilienza, individuali o collettive.
AUTORICONOSCERSI COME PROFESSIONISTI
La parola chiave – e titolo deIl’intervento di Andrea Gogliani, Presidente della Società Italiana di Counseling (SICo) – è “Innovation”, e più chiaro di così non poteva essere. Medico, specialista in psicologia clinica e psicoterapeuta ma, soprattutto, counselor, che coltiva come professione da oltre 30 anni. Per chiarire cos’è il Professional counselor e come può affermarsi nel mondo, occorre innovazione a livello di pensiero, destrutturando l’ovvio, gli schemi, cambiando punti di vista. Con il counseling ha trovato lo strumento per un’esistenza piena e vissuta, lavorando sulla relazione (relazione con l’altro, con me). L’innovazione ci fa arrivare laddove non si immaginava di arrivare. La professione del counseling è – più che nuova – innovativa, in quanto ha a che fare con la capacità creativa. La tradizione esiste ed è parte di noi, ma è difficile far entrare il nuovo se permane il vecchio. C’è rischio nell’avanzare verso il nuovo, perché non sappiamo cosa capiterà; ma è nel rischio che respira la verità. Andare oltre, insieme, richiede una solida cultura e soprattutto studiare, sempre, e questo è importante anche per ottenere riconoscimento istituzionale. La conoscenza implica anche complessità. Oggi la piramide della conoscenza umana sembra essersi rovesciata, e la complessità è in superficie. Non si tratta di spiegare come usare i tasti del mondo, ma come dare un senso. Il counseling, quindi, si occupa della superficie, ma occorre agire lì se vogliamo andare in profondità. Cosa serve quindi, perché questa professione abbia un’evoluzione? Avere coscienza che non è la professione ad essere innovativa, ma il metodo, perché apre spazi senza dare certezze. Creare disagio, pensato e riflettuto, è meglio di una zona di comfort; non stiamo fermi a guardare indietro, ma fermi grazie a quello che è stato. Dobbiamo riconoscersi come professione a sé stante, con una formazione a sé stante. È l’ora dell’autonomia, di andare avanti con le radici che affondano nella nostra cultura. “Vorrei un mondo dove non si diventi counselor dopo varie professioni, ma dove si possa nascere counselor. Non più una parte inferiore o più leggera rispetto ad altre discipline, né che dall’esterno mi si dica di fare questo ma solo fino a un certo punto, non oltre… Io faccio una cosa diversa, una professione che ha a che fare con la complessità dell’essere: no, non abbiamo bisogno di altre persone che ci definiscono”.
BASTA CON IL GASLIGHTING
Il Prof. Davide Mariotti, dell’Università del New Haven, torna a riflettere sull’identità e l’agire professionale della comunità di counseling in Italia. È una professione ricca e creativa la nostra. Carl Rogers ha cercato di distinguere il counseling dalla psicoterapia e, guarda caso, erroneamente, il suo libro “Counseling and psychotherapy” è stato tradotto in italiano con il titolo “Psicoterapia di consultazione”. Il counseling promuove il benessere delle persone in una visione umanistica ed esistenziale. Basta con le esclusioni, le manipolazioni, le insinuazioni di dubbi, basta con il gaslighting. C’è l’esigenza di auto validarsi, creare lobby di interessi professionali per acquisire potere, creare un’alternativa valida. Ma come si esce da questo clima di esclusione che genera autoesclusione? Interpellando le autorità, come il Presidente della commissione delle attività professionali non regolamentate, tanto più che esiste una raccomandazione UE del 2015 in materia, completamente disattesa. Riappropriamoci della nostra identità, con le parole e i comportamenti; lavoriamo sulla nostra autostima; pretendiamo pari dignità nelle relazioni professionali; stiamo lontani da relazioni tossiche, nel volere per forza l’approvazione degli altri.
UBUNTU
Il discorso di Dominic Nsona, Chairperson Malawi Association of Counselling (MAC) ci rappresenta davvero un’altra realtà, molto distante dalla nostra e, proprio per questo, può metterci di fronte a nuove possibilità, a nuovi orizzonti. Inizia con l’identificare il proprio stato di provenienza, che molti confondono con altre mete, mentre siamo nell’Africa meridionale, ai confini con Tanzania, Zambia e Mozambico. Un piccolo paese in un grande continente, con le contraddizioni e le criticità che tutto questo comporta. Un tasso di popolazione dove soltanto una piccola percentuale risiede in zone urbane, e la stragrande maggioranza vive in comunità rurali difficili da raggiungere. Il che equivale, anche, ad essere lontani dai pochi centri per la salute del paese, soprattutto laddove sono molto diffuse le malattie della vista. I problemi di salute mentale sono molti, e quelli della popolazione indigena sono diversi da quelli del continente africano. Sono pochi coloro che praticano il counseling in Malawi, e vanno raccogliendo sfide e soddisfazioni. Soprattutto li sostiene la passione, credono nella sua utilità, che li spinge spesso a spostarsi “al domicilio” delle persone, andare loro incontro. Certo, è molto diverso essere counselor in Malawi e, a questo punto, Nsona conquista la platea con una parola che non ha bisogno di commenti, “UBUNTU”. È un’ideologia che vede nella lealtà delle relazioni reciproche fra le persone l’elemento che le tiene unite, ed è attraverso l’ubuntu, come regola di vita basata sulla compassione e il rispetto degli altri, che il counseling agisce. Ancora una volta la verità sta nel non ovvio o, come in questo caso, in ciò che è talmente ovvio da rimanere sullo sfondo. E invece, che “Ubuntu ngumuntu ngabantu” sia, perché ognuno di noi è ciò che è, in virtù di ciò di cui insieme siamo.