Perché hai scelto di diventare counselor?
È stato quando mi ruppi un braccio che decisi di fare esperienza di me stesso un po’ più da vicino. Nel lontano 2005, durante una partita di calcetto non prevista, nel tentativo di arpionare una palla alta cascai rovinosamente, dovendo trasportarmi di lì a breve al pronto soccorso cittadino. Nella sala d’attesa, proprio davanti ai miei occhi, un volantino recitava bel bello: “Corso triennale di counseling ad approccio integrato e promozione della salute” come una sirena che attira a sé menti inconsapevolmente fameliche di conoscenza interiore e apertura all’alterità. Si dava il caso che poco tempo addietro fossi stato sedotto da un libro proprio sul counseling (M. Hough, Abilità di Counseling. Manuale per la prima formazione, Edizioni Erickson, Trento 1999), che acquistai come illuminato su cosa avrei voluto in termini teorici fare nella vita: il counselor! A quel punto avevo solo da “prendere la palla al balzo”, per la seconda volta: la prima letteralmente e rovinosamente, la seconda figurativamente e decisamente con risultati più proficui, di lì a breve.
Qual è stata l’esperienza più impegnativa che hai affrontato e quale ricordi come più gratificante?
Ho avuto un duro battesimo del fuoco. Come tirocinante presso U.O. Malattie infettive dell’Ospedale di Livorno iniziai un percorso con un paziente affetto da Aids, marinaio macchinista, siciliano. Dopo un paio d’incontri ci accordammo per tenere una sorta di “diario di bordo” di questa esperienza, che raccontasse la “traversata nel mare in tempesta” della sua malattia e di come la stava affrontando. Le sue erano parole semplici, incerte, di un’autenticità disarmante: era riuscito a tirar fuori in scrittura le paure che a voce faceva fatica a proferire, a mettere da parte anche un po’ il machismo stereotipato da uomo dei mari del sud. Al quinto incontro lo aspettai nella saletta che ci riservavano, ma non lo vidi arrivare. Salii in reparto nella sua camera e trovai un lenzuolo bianco, rifatto da poco, candido come un vuoto. Non fu semplice, ero un counselor acerbo: questa esperienza permise di dare al mio inizio una solidità improvvisa.
Confesso, però, che faccio fatica a individuare un percorso che sia stato più impegnativo di altri o più gratificante: tendo a dimenticare le emozioni legate a questi aspetti. Mi rimangono più facilmente impressi i saluti finali, quando dentro di te devi iniziare a lavorare sul distacco da una persona che ti sta a cuore, di cui con tutta probabilità non saprai più nulla. Questo mi ha insegnato anche a godere della bellezza di un addio, della sua parte luminosa, della considerazione e consapevolezza di aver avuto un ruolo di aiuto nella vita di quella persona che scivola via dalla tua porta, che avrai un luogo nella sua memoria (così come chi ci ha aiutato lo ha nella nostra). Considerazione, questa, che fa parte del puzzle della mia dotazione di senso.
Il setting più particolare in cui hai lavorato o vorresti lavorare?
I primi tempi lavoravo davvero in qualunque posto, cogliendo ogni occasione possibile. Ho fatto counseling negli spogliatoi di una squadra di calcio, sotto gli alberi del giardino di un’associazione, in un negozio chiuso, nella sala burraco di un circolo tennistico, in auto, sugli scogli… ho un po’ nostalgia di quei tempi pionieristici e impervi, ma estremamente formativi. Oggi ho il mio studio, la mia zona di comfort in cui mi sento protetto (e dove mi riesce meglio proteggere), che ho creato da una stanza vuota improvvisandomi, con l’aiuto di mia moglie, cartongessista, idraulico, elettricista, muratore, pavimentista, interior designer… mi rappresenta in tutto: ho scelto elementi di decoro (quadri, soprammobili, oggetti) che mi risuonano, mi ricordano, mi ispirano.
Mi piacerebbe lavorare almeno una volta in una yurta: vorrei sentire come “rimbalzano” le energie dentro un contesto architettonico a forma circolare, osservare le “traiettorie”, necessariamente diverse rispetto a una forma rettangolare.
Qual è il tuo “tocco” personale?
Seguo tantissimo l’istinto. Un istinto frutto di stratificazioni di lavori personali, di un allenamento costante alla visione sistemica, ai link tra emozioni, vissuti, parole, cenni, sguardi.
È come se avessi in mente la lavagna di sughero protagonista di tante serie tv crime, usata dall’ispettore per appuntare i vari elementi del caso da risolvere e unirli visivamente con dei fili di vari colori. Ovviamente nella pratica del counseling non si tratta di investigare: la metafora vuole spiegare come a volte capiti che il filo “giusto” (o meglio, uno dei fili giusti) si materializzi grazie all’intuito, una via diretta improvvisa ma per niente improvvisata, che porta la diade counselor/cliente allo sbroglio della matassa.
Mi interrogo spesso sui limiti dell’uso dell’istinto, li porto in supervisione, li dichiaro. Questo mi permette di farne uno strumento sempre nuovo, tendenzialmente sicuro, di maneggiarlo con cura, cogliendone anche l’aspetto critico, di rischio, da un certo punto di vista anche egoico.
Che cosa ti sta insegnando questa professione?
A saper essere, ogni giorno, a custodire tesori, a brandire compassione (cum pathos, sentire con), a togliermi di dosso (faticosamente) le polveri dell’ego, a svuotare la scatola della mia spiritualità attraverso l’incessante lavorio del confronto e dell’attesa, in un movimento che aspira così a contribuire al senso. Questa professione mi sta anche insegnando ad addestrare le mie aspettative, a dare valore alle relazioni gratuite, a cogliere la bellezza, e, in definitiva, a vivere più pienamente la mia vita.
Fabio Artigiani
Counselor ad approccio integrato, educatore, dottore in psicologia del lavoro e delle organizzazioni, formatore in pedagogia digitale, coordinatore territoriale AssoCounseling per la Toscana. Conduce da anni laboratori di scrittura autobiografica, si occupa di formazione in contesti educativi e sanitari, di supporto ai professionisti della relazione di aiuto, di formazione aziendale. Usa spesso e volentieri i fondamenti della mindfulness e dell’eco-counseling. Ha organizzato numerosi eventi e convegni su temi legati al counseling.