La metafora buddista della rete di Indra contiene una verità fondamentale per comprendere le connessioni di ciascuno con la vita e il resto del mondo: l‘interdipendenza di tutte le cose.
“Immaginate una rete di ragno multidimensionale, coperta di primo mattino da gocce di rugiada. E che ogni goccia contenga il riflesso di tutte le altre gocce. E, in ogni goccia riflessa, i riflessi di tutte le altre gocce in quel riflesso. E così all’infinito” (Watts, 1989).
Siamo tutti legati gli uni agli altri da legami indissolubili: la sfida è passare dal pensare, lavorare, comunicare, collaborare insieme, al farlo come un’unica rete connessa dall’intelligenza collettiva e connettiva.
Le relazioni sono, dunque, la linfa vitale della nostra esistenza e spesso è dalle relazioni e dagli strumenti che abbiamo per tenerle in buona salute che dipende il nostro benessere e la possibilità evolutiva dei contesti in cui operiamo.
Saper coltivare e accrescere la rete delle relazioni in una modalità feconda e generosa è, però, una competenza complessa, da apprendere ed allenare per far prosperare le esperienze di vita quotidiana a scuola, nel lavoro e nelle comunità con cui ci interfacciamo.
Da più parti si sottolinea la predisposizione neurobiologica dell’essere umano all’intersoggettività, avvalorando la “visione relazionale”. Già Aristotele aveva riconosciuto come la specie umana sia essenzialmente sociale. Anche Siegel (2021) ci parla di una “mente relazionale”, che emerge dall’interazione tra processi neurofisiologici e relazioni interpersonali.
Martin Buber, nel 1923 teorizza il principio dialogico, come filosofia della relazione: l’uomo non è pura sostanza, ma esiste nella trama di rapporti e relazioni che riesce a creare con gli altri. “Il rapporto Io-Tu”, è quello cioè tra due soggettività diverse ma equivalenti, diverso dal “rapporto Io-Esso”, dove l’altro è mero oggetto (Buber, 1958).
La matrice dell’intersoggettività ci apre, quindi, ad un nuovo orizzonte: “i confini tra noi stessi e gli altri si rivelano più permeabili di quanto abbiamo creduto, pur rimanendo confini, perché l’intersoggettività non è fusione, né confusione (…) Tutto quanto pensiamo, sentiamo e desideriamo è influenzato dai pensieri, dai sentimenti e dalle intenzioni degli altri in un dialogo incessante, reale o virtuale” (Pasini, 2010).
Anche il contributo dato dalla Scuola di Palo Alto (fondata a partire dagli anni ’50 presso il Mental Research Institute (MRI) di Palo Alto in California, fornisce strumenti per un approccio interdisciplinare alle relazioni umane, frutto dell’incontro di discipline diverse, tra cui la cibernetica, la teoria dei sistemi, l’antropologia e la psichiatria. Secondo i suoi fondatori Paul Watzlawick e Gregory Bateson l’esplorazione del modo in cui le persone comunicano e il modo di funzionare delle interazioni tra loro è influenzato dal tipo di legame che le coinvolge.
Più recentemente Derrick de Kerckhove nel concetto di “intelligenza connettiva” sottolinea come le persone, quando creano reti di relazione, attivano una “moltiplicazione” delle intelligenze superiori alla somma dei singoli attori, dando così un valore unico ed esclusivo alla rete di connessioni: l’individuo che ne partecipa è al tempo stesso fruitore e contributore di ricchezza generativa.
Il concetto di intelligenza connettiva si riferisce, dunque, alla capacità di una persona o di un gruppo di lavorare insieme in modo efficace utilizzando le connessioni e le risorse disponibili (anche attraverso le reti sociali e digitali), sfruttando la cooperazione e la condivisione delle conoscenze per risolvere problemi, innovare e raggiungere obiettivi comuni.
Il paradigma dell’intelligenza connettiva è sempre più importante in un contesto globalizzato e ad alta complessità, come quello attuale: le persone con solide connessioni sociali tendono ad essere più felici, a vivere più a lungo e a godere di una migliore salute mentale. Ma è l’autenticità delle connessioni a fare la differenza. Se esse si basano su fiducia, reciprocità e sulla volontà di supportarsi a vicenda, sono in grado di generare un senso di appartenenza e di sicurezza, essenziali per l’equilibrio interiore.
Nel mondo del lavoro, poi, le connessioni professionali possono essere determinanti per il successo.
Il networking, ovvero la capacità di costruire e mantenere una rete di contatti professionali, è una delle competenze più preziose nel mercato odierno. Il networking, come competenza umana aiuta a sviluppare un nuovo senso civico, a creare relazioni positive con gli altri, a sviluppare abilità sociali, a risolvere problemi (Vigini, 2024). Ed è proprio l’utilizzo di questa meta-competenza a consentirci di creare tribù fiduciarie in cui ciascuno ha la possibilità di realizzare il suo percorso, generando valore per sé e per gli altri.
Non solo. Il mind-set che valorizza le relazioni come opportunità per avvicinarci agli altri in maniera empatica e autentica diventa un viaggio che va oltre il singolo, e valorizza il sistema come occasione di crescita per tutti gli attori del processo.
Questa postura relazionale non può che aiutarci a “dare valore alle reti di valore” come strumento di prosperità per le persone e le organizzazioni, a superare pregiudizi, stereotipi, condizionamenti e ogni barriera culturale ed emozionale che ci renderebbe difficile connetterci agli altri.
Proviamo ad ampliare ulteriormente la prospettiva. Abbiamo sostenuto sin qui che le comunità possono costituire sistemi evoluti di interconnessione, generativa di valore. Federico Faggin (2022), il creatore del microprocessore, nel suo bellissimo libro “Irriducibile”, esplora anche i nuovi sviluppi della teoria dell’informazione, che sembrerebbero giustificare la possibilità che l’universo possa creare vita e coscienza ed essere dotato di una “consapevolezza di sé”.
“Per spiegare l’autonomia e il comportamento intenzionale di ogni organismo vivente dobbiamo presumere che esso sia “collegato” con un ente cosciente dotato di libero arbitrio… Ma l’azione di libero arbitrio ha un lato soggettivo e uno oggettivo, al pari dell’informazione viva… Ogni interazione è uno scambio di informazioni, una connessione tra le parti che contribuisce alla coscienza del tutto”.
Secondo Faggin, quindi, la vita sembra funzionare al meglio quando tra ogni organismo e il suo habitat c’è un equilibrio dinamico di dare e avere.
C’è un ultimo aspetto che merita di essere menzionato: la tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui creiamo e manteniamo le connessioni.
La relazione tra intelligenza connettiva e intelligenza artificiale (IA) è complessa e interessante, poiché entrambe le forme di intelligenza si influenzano e si integrano reciprocamente.
L’intelligenza artificiale può indubbiamente agevolare le connessioni perché in grado di raccogliere e analizzare grandi quantità di dati provenienti da diverse fonti, facilitando la condivisione delle informazioni tra le persone. E può anche fungere da amplificatore delle reti sociali: le piattaforme di social media utilizzano algoritmi di IA per suggerire connessioni, gruppi e contenuti pertinenti agli utenti, migliorando così la qualità e la rilevanza delle loro reti connettive (con tutti i limiti legati, però ai modelli cognitivi e utilizzati per “educare” gli algoritmi stessi) che – sappiamo – rischiano di alimentare stereotipi e pregiudizi.
Ma l’uso che ne viene fatto (pensiamo anche solo semplicemente all’utilizzo in ambito commerciale per la valutazione delle esperienze del cliente o, in ambito aziendale, per il reclutamento delle risorse) accende in molti una sensazione di timore, perché evoca un senso di strapotere e di controllo da parte della tecnologia, che potrebbe portare l’essere umano verso automatismi di pensiero e inconsapevolezza emotiva e relazionale.
Qual è dunque il compito evolutivo riservato a noi umani in questo panorama che sembra essere già ampiamente governato da forme di intelligenza più capienti e strutturate?
Per valorizzare al massimo il tesoro relazionale di cui siamo tutti portatori, è importante adottare un approccio attivo, consapevole e generoso.
Le connessioni più forti si basano sull’autenticità e sull’interesse genuino per le persone e le loro storie, e sono bidirezionali: valorizzare il potere del dono (Grant, 2013) significa abituarsi a offrire supporto e valore prima di chiedere qualcosa in cambio.
Inoltre, le connessioni non vanno solo create, ma mantenute attive e vitali, attraverso azioni e pratiche volte ad alimentare fiducia, attenzione, ascolto, ma soprattutto impegnandosi a costruire, nel quotidiano, una routine che dia valore alla propria comunità di riferimento, restituendo al singolo e alla comunità stessa quel potere dell’interdipendenza che governa l’essenza partecipativa della rete.
Del resto – ricorda sempre Faggin – “le proprietà cruciali che differenziano gli organismi viventi dai robot dotati di intelligenza artificiale derivano dalla coscienza e dal libero arbitrio che possono comunicare con la parte quantistica della cellula determinandone il comportamento complessivo mediante l’informazione viva”.
Come singoli e come comunità abbiamo, dunque, il dovere di creare nuove visioni, che vadano oltre la coazione a competere, per sviluppare nuove forme di collaborazione e di coesistenza civile.
Il potere delle connessioni risiede nella loro capacità di trasformare positivamente le nostre vite, sia a livello personale che professionale e in questo, come counselor, abbiamo delle responsabilità.
Mettersi in una logica di servizio, lavorare sulla corresponsabilità sociale, valorizzare il dono come forma della relazione, riscoprire il potere della gentilezza nella comunicazione vuol dire riportare alla luce quell’antica forma di memoria umana che si chiama gratitudine e che, al momento, nessuna intelligenza artificiale è in grado di replicare.
Bibliografia
- Buber M. (1958), Io e tu, in Il principio dialogico, Comunità, Milano, pp. 9-10 e 57-58.
- Buber M. (2000), Il cammino dell’uomo, Edizioni QiQajon, Monastero della Comunità di Bose.
- Grant A. (2013), Più dai più hai, Sperling & Kupfer, Milano.
- Greison G. (2023), Ogni cosa è collegata. Pauli, Jung, la fisica quantistica, la sincronicità, l’amore e tutto il resto, Mondadori.
- Faggin F. (2022), Irriducibile, La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori, Milano.
- Pasini F. (2010), Un essere unico. Dal trauma all’aggressività, L’Uomo Edizioni, Firenze, p. 116 e ss. che fa ampio riferimento a R. Assagioli R. (1965), Astrolabio, Firenze.
- Report Unesco (2024), Systematic Prejudices. An Investigation into bias against woman and girls in Large Language Models.
- Siegel D. J. (2021), La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, III ed., Raffaello Cortina Editore, Milano.
- Vigini M. (2024), Il potere delle relazioni. Il networking come competenza di vita per il successo e il benessere, Rizzoli BUR, Milano.
- Watts A. (1989), The Book, Knopf Doubleday Publishing Group, New York City.
Image credits: Giacomo Madonini. Linee di luci sinuose La fotografia pubblicata è parte di un insieme di tre fotografie stampate in negativo e esposte alla Mostra “Dimensioni soggiacenti” presso il fuori Festival di Fotografia etica, Lodi 27 settembre-28 ottobre 2024. La pellicola qui viene usata al suo stato primordiale, prima di potersi realizzare positivamente, immortalando movimenti di luce.
Giacomo Madonini
Nato a Milano nel 1998, coltiva la passione per le arti visive, utilizzando lo strumento fotografico come mezzo espressivo.
Ha una formazione psicologica e neuroscientifica che lo spinge verso una ricerca all’interno della psiche umana e della sua manifestazione sensibile.
Utilizza principalmente strumenti fotografici tradizionali e provvede autonomamente allo sviluppo delle pellicole e alla stampa in camera oscura attraverso ingranditore.
www.giacomomadonini.com