Come è possibile che la specie umana sia oggi così poco gruppale quando da milioni di anni e fino a pochissimo tempo fa ha sempre vissuto in piccoli gruppi di cacciatori e raccoglitori nomadi, coesi, inclusivi, solidali ed egualitari?
E com’è stato possibile nonostante che (incredibilmente?) i nostri neonati continuino a nascere ancora, incontaminati da tutto questo, con una fiducia e un amore incondizionato verso i propri simili, esattamente come agli albori della specie? (Harari Y. N., 2017)
Giorgio Piccinino, sociologo, psicoterapeuta a indirizzo analitico-transazionale e socio del Centro Berne, propone una serie di interrogativi sull’evoluzione della natura degli esseri umani, che hanno portato al prevalere della bellicosità rispetto alla connessione, alla vicinanza e all’amore.
Homo Sapiens o… Homo Faber?
Credo che ciascuno di noi, tanto più chi opera nelle professioni d’aiuto, possa contribuire alla propria evoluzione e a quella della specie. Si tratta in fondo di riprendere quella che oggi molti pensano, e io con loro, sia la naturale propensione umana all’appartenenza, alla solidarietà e al benessere corale (Piccinino G., 2016).
Essere comunità, “intelligenza connettiva”, insieme come organismo dei viventi, e non solo di noi umani, mi sembra veramente un obiettivo possibile e su cui giustamente AssoCounseling ci invita a riflettere. Uno scopo ambizioso che sarà certamente di lungo periodo tanto che nessuno di noi lo vedrà realizzato, ma non è certo questo un buon motivo per non provarci fin d’ora e non operare di conseguenza nel nostro piccolo personale, nel nostro piccolo professionale e nel nostro piccolo pezzetto di vita.
Abbiamo un concetto che credo ci dia un’idea della possibilità reale che essere comunità di viventi sia realizzabile ed è la pulsione di appartenenza al genere umano con cui ogni cucciolo di essere umano viene alla luce. Da milioni di anni.
La natura umana che conosciamo oggi al suo apparire è l’esito di un percorso evolutivo proprio di milioni di anni che pian piano ha portato degli esseri viventi a considerarsi Homo Sapiens. Ma Sapiens è certamente un’autodefinizione che mi è sempre parsa non solo presuntuosa, ma soprattutto contraddetta da comportamenti distruttivi e autodistruttivi che gli esseri umani hanno espresso nella loro storia. Più appropriata mi sembra la definizione di Homo Faber nell’accezione che ne diede Bergson di “fabbricante di oggetti artificiali e in particolare utensili atti a produrre altri utensili” (Bergson H., 2002, pag. 117).
Dobbiamo credo entrare in una logica evolutiva e considerare gli esseri umani semplicemente in un cammino non certo compiuto.
Sicuramente stiamo migliorando sotto moltissimi aspetti, stiamo certamente meglio che in passato (Rosling H., 2018), viviamo più a lungo, curiamo tantissime malattie benché altre ce le facciamo venire da soli (Fistarollo A. e Faggian S., 2022) e in molte parti della terra si vive meglio e più sicuri. In Europa, tanto per citare qualche dato, stanno sempre più riducendosi il numero dei reati (Fonte: Eurostat, 2021) e in particolare l’Italia è tra i paesi europei col più basso tasso di omicidi (Fonte: il Post, 2023) subito dopo la Svizzera e la Norvegia.
Eppure, forse più che in passato, emergono malesseri e disagi esistenziali, relazionali e psicologici. Appunto l’Homo Faber è piuttosto in gamba, ma in quanto a essere Sapiens non ci siamo proprio.
Venire al mondo
Siamo una specie evoluta come potenzialità, l’Io della specie è inalterato in parte da milioni di anni e per un’altra parte da diverse centinaia di anni (Cavalli Sforza L. e Pievani T., 2011).
Nasciamo in tutte le parti del mondo con la stessa dotazione energetica, le stesse caratteristiche somatiche, gli stessi meccanismi emozionali che ci fanno reagire alle esperienze e con quello che qui forse ci interessa di più con le stesse spinte comportamentali, quelle che normalmente chiamiamo pulsioni (Piccinino G., 2016).
Il senso di appartenenza è una di queste, oltre a quella di sopravvivenza, di evoluzione e di autorealizzazione.
Come sono i neonati oggi? Non sono forse per nulla diversi da quelli di migliaia di anni fa? Non nascono con dotazioni di base del tutto uguali ovunque nella terra?
Perfino il feto dopo qualche mese di gestazione comincia automaticamente a entrare in risonanza con la madre, reagisce allo stress e al benessere della madre, reagisce in modo diversificato a ciò che mangia la madre, si ritira, si agita, si rilassa, sintonizza il suo battito cardiaco a quello della madre tra il secondo e il terzo trimestre di gravidanza (Ammanniti M. e Ferrari P.F., 2020), in questo senso è già fin da allora in connessione con l’altro da sé.
Certo non sa ancora cosa sta accadendo, ma il suo corpo lo percepisce e se ne fa memoria per il futuro – riusciamo a immaginare?
È il Sé della Specie (Galimberti U., 2021) che si sta filogeneticamente attivando e poi reagendo a ciò che gli accade, e ciò che gli accade dovrebbe essere in tutto e per tutto la conseguenza di una accoglienza affettuosa.
Si comincia a nascere ben prima di essere venuti alla luce.
Già nelle fasi avanzate della gestazione e allo stesso modo nei tempi successivi il cucciolo degli esseri umani ha necessità di permessi specifici cruciali per il suo futuro espressi con gesti e voce: puoi esistere, essere sano, sentire emozioni, essere importante (non solo per la mamma, ovviamente), risuonare con gli altri e dunque essere intimo ed empatico.
Poi puoi crescere, puoi essere nutrito secondo le tue necessità (sarebbe il permesso di essere un bambino).
Oltre a questi permessi, che continueranno a essere importanti anche dopo essere venuti alla luce, saranno necessari anche il permesso di essere se stessi e di dare valore alle proprie emozioni, permessi che potranno rinforzare il senso di sicurezza di base (quello che in analisi transazionale chiamiamo OKness) quando la simbiosi madre-bambino si ridurrà, dopo poche settimane di vita, favorendo l’emergere della pulsione di autorealizzazione e identificazione individuale (De Graaf A., Cornell W. Newton T., Thunissen M., 2018).
Come si potrà notare tutti questi permessi sono finalizzati a dare accoglienza gioiosa proprio all’emergere progressivo delle pulsioni tipiche degli esseri umani.
Cito questi permessi per dare l’idea di quanto siamo delicati e di quanti aspetti della personalità di un essere umano devono essere affettuosamente gestiti fin dall’origine per orientare il suo futuro a una sana e felice realizzazione di sé.
Verso l’età dell’appartenenza
Siamo delicatissimi e veniamo al mondo in balìa totale delle culture con cui entriamo in contatto; il nostro Sé della specie evoluto e immutabile da milioni di anni finisce per essere gestito da una corteccia cerebrale recentissima, l’intelligenza razionale, diciamo così, limitata, manipolabile, contraddittoria, facilona, approssimativa e ancora troppo spesso drammaticamente orientata a sopravvivere e a competere per ottenere il massimo della sicurezza materiale e del lusso accumulando ed espandendosi.
E per di più a scapito di qualcun altro.
Come ha chiaramente detto il grande fisico Emilio Del Giudice sulla legge della risonanza dell’universo: “Non esiste nessun oggetto al mondo che sia isolabile […] la società si è costruita con sue leggi che non sono le leggi della biologia che richiede la cooperazione, ma secondo le leggi dell’economia che richiede la competizione […] la specie umana non ha mai avuto la possibilità di formarsi perché per formarsi i suoi componenti devono risuonare fra di loro, […] la competizione è l’esatto contrario della risonanza […]” (Conferenza presso l’università degli studi di Milano Bicocca, Convegno IPSO).
Il professor Del Giudice chiama la nostra età “l’età della preistoria”, ma forse credo sarebbe più adeguato il termine “età della sopravvivenza” che in fondo è, anche giustamente, ancora la priorità per moltissime persone in tutti i paesi del mondo.
Le nostre priorità sono generalmente ancora quelle di vivere più a lungo, con più agio, espandendoci economicamente sempre più, un’età dove il potere economico di pochi si basa sul consumismo, la produttività e lo… sfruttamento dei molti.
Il potere è ancora in gran parte in mano ai maschi che, proprio in quanto più forti fisicamente e prevalenti in concomitanza con lo sviluppo delle città stato e della cultura delle dominazioni, si sono arrogati il potere conquistando, assoggettando, invadendo, espandendo e rafforzando al contempo la priorità del ben esistere a scapito del ben essere collettivo e femminile (Goettner-Abendroth H., 2023).
Ma siamo pur in viaggio (Bregman R., 2020 – Pievani T., 2014) e proprio noi che esercitiamo delle professioni d’aiuto, possiamo orientare noi stessi e gli altri verso l’età in cui il Sé della specie possa finalmente realizzare le proprie prerogative.
Per questo dobbiamo cambiare priorità e costruire quell’età che qualcuno comincia a chiamare l’età della interdipendenza (The care Collective, 2021) altri dell’empatia (De Waal F., 2011).
Se consideriamo che il nostro viaggio è un percorso in cui “dovremmo” portare a compimento le potenzialità della nostra specie, cioè le nostre pulsioni, dovremmo chiamarla l’età dell’appartenenza, ma non solo e non soltanto appartenenza al genere umano, ma alla natura intera.
Realizzare la pulsione di appartenenza significherà allora che i caregiver devono saper realizzare quel contatto interumano che già il feto richiede e attiva e poi il neonato porta avanti in quel rapporto d’attaccamento affettivo prima con le figure genitoriali e poi con gli altri. In questo senso la fiducia incondizionata con cui i cuccioli degli esseri umani approcciano l’altro da sé, pur necessariamente monitorata, deve essere valorizzata grazie anche alla meravigliosa funzionalità dei neuroni specchio di cui fino a poco tempo fa nemmeno si conosceva l’esistenza.
La curiosità sarà riconosciuta, lodata e fornita delle conoscenze necessarie alla sua conferma. E infine la ricerca dell’identità individuale e del significato da dare alla propria vita dovrà ben essere accolta favorevolmente e sostenuta.
Devo essere molto sintetico in questo, ma i lettori potranno facilmente trovare in altri scritti ampia argomentazione di questo orientamento che negli ultimi anni sta chiarendo finalmente l’essenza degli esseri umani e la loro irrefrenabile evoluzione (Piccinino G., 2016 – Brooks D., 2012).
Cominciare bene
Ma perché ho voluto aprire questo articolo parlando di questo?
Il motivo è molto semplice e risale alla profonda crisi che sta mettendo in pericolo la nostra evoluzione da Faber a Sapiens.
La crisi di cui parlo sta minando, nel mondo occidentale, proprio quell’essenza degli esseri umani che ciascun bambino attiva fin dalla gestazione (compromettendo così anche l’evoluzione della specie): la pulsione di appartenenza e le conseguenti capacità di relazione e connettività.
Dati sempre più gravi e preoccupanti ci informano che i malesseri che incontriamo tutti noi che operiamo nelle professioni d’aiuto sono un sintomo montante del deterioramento della condizione genitoriale proprio nei momenti più delicati della crescita dei nostri cuccioli.
Non si spiegano altrimenti i disagi che emergono da noi fin dalla preadolescenza e adolescenza, anni in cui la spinta all’autonomia e alla sperimentazione all’esterno della famiglia è più forte. Non si spiega altrimenti quanto riporta il rapporto dell’Unicef del 2024 (“Child and adolescent mental health – The State of Children in the European Union”) che evidenzia che il 19% dei ragazzi europei tra i 15 e i 19 anni soffre di problemi legati alla salute mentale. Dei ragazzi tra i 10 e i 19 anni, 9 milioni convivono con un disturbo legato alla salute mentale: l’ansia e la depressione rappresentano oltre la metà dei casi.
Anche se i numeri sembrano diminuire resta drammatico il dato: il suicidio è la seconda causa di morte (dopo gli incidenti stradali) tra i giovani fra i 15 e i 19 anni nell’Unione Europea. Nel 2020, circa 931 giovani sono morti per suicidio nell’UE, equivalenti alla perdita di circa 18 vite a settimana, senza contare i tentati suicidi.
Assistiamo dunque all’aumento di sofferenze precoci con la conseguenza di comportamenti ritirati (hikikomori), iperattivi, aggressivi, distaccati, disattenti, depressivi, ecc. che non possono essere spiegati altrimenti se non con una generale sottovalutazione dell’importanza del periodo perinatale in sé e di una genitorialità consapevole e affettiva.
E anche i gravi comportamenti devianti, autolesivi, narcisistici, violenti ecc. degli adulti non si possono più spiegare solo citando le difficoltà, pur evidenti, della vita occidentale poco propensa a mettere in primo piano il benessere esistenziale degli adulti.
Gli stessi femminicidi, oltre una residuale cultura maschilista, spesso evidenziano drammaticamente gravi problemi di dipendenza affettiva, di aggressività e disperazione, facilmente ascrivibili a profonde insicurezze infantili.
A me pare che negli anni passati fra miseria, emigrazione, guerre, disoccupazione, mortalità infantile, ecc. non erano certo minori gli stress della vita adulta.
Oggi siamo più ansiosi, più fragili, non sopportiamo i fallimenti e i rifiuti, non sappiamo gioire di quello che abbiamo (che è ben più garantito in termini materiali che in passato), siamo fin da bambini lasciati soli troppo precocemente (anche se il nostro paese non è certo più abbandonico di altri). Siamo fin da bambini educati alla competizione intraspecifica, alle sfide, alle gare per vincere ed essere dei numeri uno. Siamo affidati negli anni più delicati della nostra crescita a tate, professionisti sanitari, allenatori, insegnanti (pure sottopagati), che, se pure autorevoli e gentili, sono pur sempre estranei e per nulla sostitutivi di uno sguardo amorevole familiare e soprattutto presente nei momenti difficili dell’apprendimento precoce.
E poi dovremmo parlare della formazione dei genitori e degli insegnanti, del disinteresse della politica nel favorire nei genitori tempo e serenità per un compito che più delicato non potrebbe essere nel far diventare adulto un cucciolo particolarmente inerme e complesso, per molti anni dipendente dagli adulti a causa di un tempo di maturazione e autonomia necessariamente molto più lungo di qualsiasi altro animale.
È alla radice che lo sforzo di tutti noi si deve concentrare. Come counselor abbiamo il compito di ricordare con qualsiasi persona o ente con cui entriamo in contatto che gli esseri umani devono essere difesi quando i malesseri non si sono ancora incistati, quando le pulsioni sono ancora come l’evoluzione le ha concepite e difese nonostante lo scempio che nei secoli ne hanno fatto le nostre misere culture materialistiche e antropocentriche.
Dare valore alla sofferenza e alla gioia
La buona notizia è che la natura umana (l’Io della specie) non si è fatta inibire, è stata ed è ancora più forte delle nostre arretrate culture. I nostri figli nascono da centinaia di migliaia di anni allo stesso modo, i nostri come quelli dei peggiori dittatori e serial killer.
E nascono tutti sani nei loro automatismi.
Tanto per fare un solo esempio di come le nostre culture ci possono snaturare è stato calcolato che il riso dei bambini, che è il comportamento associato alla gioia relazionale e al senso di appartenenza (la gioia è il premio e allo stesso tempo la motivazione alla realizzazione delle nostre pulsioni), in condizioni ambientali favorevoli, avviene 300 volte al giorno di media, contro le 20 degli adulti, questi ovviamente già belli che “sedati” (Martin Rod A., 2013).
Queste premesse per me sono importantissime per definire la filosofia del nostro operare.
Noi possiamo veramente aiutare gli adulti se favoriamo la loro consapevolezza che le sofferenze attuali derivano da uno “snaturamento” della propria umanità potenziale, una interruzione o una limitazione del percorso naturale della nostra specie verso l‘amorevolezza, la risonanza con gli altri, la compassione, la connessione, la significatività delle proprie azioni e la curiosità evolutiva; tutte spinte che oggi sappiamo essere naturali alla nascita e le uniche a darci immediata gioia quando si realizzano.
In questa direzione il counselor potrà dare valore alle sofferenze delle persone come manifestazione della discrepanza fra la loro essenza pur sempre presente e la cultura assorbita negli anni.
Si tratta in concreto di disinnescare colpe, vergogne, fallimenti e dare ragione del disagio che è sempre il sintomo di ciò che si sarebbe potuti essere e non siamo.
Spesso le persone nei nostri colloqui ci chiedono di adattarsi ancora di più alle soverchianti richieste di lavoro e barattare la felicità con qualche piacere da acquistare.
Scoprono di non essere all’altezza, si mortificano per un senso di solitudine o di insignificanza, ma alla fine cercano soluzioni più difensive che evolutive, più compensative che realizzative delle proprie pulsioni.
Le risposte le dovrà cercare, assieme a noi, ciascuno secondo le proprie possibilità e condizioni sociali, ma se di salute e felicità stiamo parlando le aree in cui investire le proprie energie non possono essere che relative alla realizzazione dell’essenza della specie.
In concreto gli obiettivi evolutivi dovrebbero essere dunque chiari: trovare sicurezza e stabilità se ci sentiamo insicuri e in balìa degli eventi; trovare solidarietà, condivisione, affetto e sostegno se ci sentiamo soli e inutili; evolvere e imparare qualcosa di nuovo e interessante che ci incuriosisca se ci sentiamo mortificati in quello che facciamo tutti i giorni; e infine trovare senso e significato per la nostra esistenza se ci accorgiamo che la nostra vita è ridotta al solo produrre, consumare e sopravvivere.
Noi dobbiamo certo dare risposte immediate alle richieste d’aiuto delle persone, di qualsiasi cosa si tratti, ma dobbiamo avere ben chiari i problemi profondi che li stimolano e i veri obiettivi che un essere umano si deve porre per vivere sano e felice.
Non possiamo ridurci a fare come nei pit stop delle gare automobilistiche: gonfiare le gomme, mettere benzina, riparare una fiancata e poi rimandare le persone a fare lo stesso stile di vita e la stessa strada che ha fuso il motore.
Ben misero e solo adattivo sarebbe il nostro lavoro.
Dall’altra parte poi, nella nostra vita di comunità, come cittadini e genitori, dobbiamo dare peso e rilevanza a quei movimenti politici che vedono nella condizione della genitorialità la priorità per garantire il ben essere individuale e collettivo, non lasciar dunque offuscare la nostra spinta protettiva naturale verso un accudimento presente e amoroso per richieste produttivistiche che chiedono a noi e ai nostri figli prestazioni e occupazioni che non hanno nulla a che fare con la felicità e l’evoluzione.
Dobbiamo dare importanza a ciò che veramente ci dà gioia sapendolo distinguere da ciò che al massimo ci può dare un po’ di piacere o di denaro in più.
Dobbiamo rivalutare quello che le società naturali, ma anche le famiglie allargate dei nostri paesi e dei nostri rioni occidentali, sapevano bene: ogni cucciolo che sta per venire alla luce è figlio del villaggio intero e sarà un dono per la comunità se la sua energia vitale sarà favorita, mantenuta e orientata, come specie comanda, alla crescita, alla creatività, alla originalità e alla capacità di amare.
In analisi transazionale chiamiamo questa parte il Bambino Naturale, la parte di noi che è l’essenza della specie e che sempre potrà ricordarci che anche noi siamo natura.
Bibliografia
- Ammanniti M. e Ferrari P.F. (2020), Il corpo non dimentica. L’io motorio e lo sviluppo della razionalità, Milano, Raffaello Cortina Editore
- Bergson H. (2002), L’evoluzione creatrice, Milano, Raffaello Cortina Editore, pag 117
- Bregman R. (2020), Una nuova storia (non cinica) dell’umanità, Milano, Feltrinelli
- Brooks D. (2012), L’animale sociale, Torino, Codice Editore
- Cavalli Sforza L. e Pievani T. (2011), Homo sapiens. La grande storia della diversità umana, Torino, Codice Editore
- De Graaf A., Cornell W. Newton T., Thunissen M. (2018), Dentro l’Analisi Transazionale. Fondamenti e sviluppi dell’Analisi Transazionale, Roma, Las
- De Waal F. (2011), L’ età dell’empatia. Lezioni dalla natura per una società più solidale, Milano, Garzanti
- Fistarollo A. e Faggian S. (2022), Come pesci fuor d’acqua. Perché il mismatch evoluzionistico ci ha reso inadatti al mondo che abbiamo creato, Milano, FrancoAngeli
- Galimberti U. (2021), Il libro delle emozioni, Milano, Feltrinelli
- Goettner-Abendroth H. (2023), Società matriarcali del passato e la nascita del patriarcato. Asia occidentale ed Europa, Milano, Mimesis
- Harari Y. N. (2017), Sapiens, Da animali a dei. Breve storia dell’umanità, Milano, Bompiani
- Piccinino G. (2016), Nati per amare. Deterioramento e riattivazione della pulsione affettiva, Milano, Mimesis
- Pievani T. (2014), Evoluti e abbandonati, Torino, Einaudi
- Rosling H. (2018), Factfulness, Milano, Rizzoli
- The care Collective (2021), Manifesto della cura. Per una politica dell’interdipendenza, Roma, Edizioni Alegre
Sitografia
- statistiche sul crimine dal sito Eurostat (in inglese)
- Il Post, L’Italia è tra i paesi europei col più basso tasso di omicidi
- Unicef, Child and adolescent mental health – The State of Children in the European Union 2024
- Martin Rod A. (2013), Do Children Laugh Much More Often than Adults Do?, dal sito di Association for Applied and Therapeutic Humor (AATH.org)
Image credit: “Enea e Anchise in fuga da Troia in fiamme”, di Pitati Bonifacio (Bonifacio Veronese), sec. XVI, Collezione privata Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna.
Questo episodio dell’Eneide di Virgilio è stato dipinto moltissime volte, ma solo in questo quadro è il figlio Ascanio a indicare la strada al padre. Questa rappresentazione esprime un messaggio molto profondo e vero: è la natura umana al suo nascere, con la sua energia vitale e le sue pulsioni universali (il Bambino Naturale in Analisi Transazionale) a indicare la via e a chiedere di dare senso alla vita.
Contatti Giorgio Piccinino