Chi sono io? È la domanda delle domande, quella da cui facciamo discendere la nostra identità, la percezione che abbiamo di noi, il nostro modo di stare al mondo. E se fosse quella sbagliata? Se ci perdessimo, così, un punto fondamentale? Non siamo mai sole e soli al mondo. Semmai ne facciamo parte. Letteralmente.
Ma chi sono io?
La risposta: sono la somma di tutto ciò che è accaduto prima di me,
di tutto ciò che mi si è visto fare, di tutto ciò che mi è stato fatto.
Sono ogni persona e ogni cosa il cui essere al mondo è stato toccato dal mio.
Sono tutto quello che accade dopo che me ne sono andato
e che non sarebbe accaduto se io non fossi venuto.
E ciò non mi rende particolarmente eccezionale; ogni “io”, ognuno di noi
che siamo ora più di seicento milioni, contiene una simile moltitudine.
Lo ripeto per l’ultima volta: se volete capirmi, dovrete inghiottire un mondo.
da I Figli della Mezzanotte di Salman Rushdie (2012)
Ecco, forse, come suggeriscono alcune fonti autorevoli (Mokgoro, 1998 e Tutu, 2004) interpellate dalla nostra redazione, non dovremmo cercare di trasferire il concetto filosofico di Ubuntu o Umunthu nella nostra lingua perché è distintivo della cultura e del punto di vista africano. Farlo nostro, insomma, sarebbe l’ennesima appropriazione culturale.
Ma come sottrarci, visto che il tema su cui abbiamo scelto di riflettere in questo secondo numero è quello dell’interdipendenza tra le persone, dei legami invisibili che collegano l’esistenza di tutti i viventi?
Questo concetto filosofico lo trovate spiegato in Oltre il Giardino, nell’articolo La rete di Indra dove si va ad esplorare il tema partendo dal buddismo, per arrivare a ricordarci che coltivare e accrescere una rete di relazioni feconda e generosa è “una competenza fondamentale per far prosperare le esperienze di vita quotidiana a scuola, nel lavoro e nelle comunità con cui ci interfacciamo”. Roba da counselor, potremmo dire.
Per cui, quando lo scorso giugno abbiamo incontrato Dominic Nsona, delegato del Malawi Association of Counselling (MAC) al convegno dell’International Association of Counselling (IAC) di Napoli, non abbiamo resistito e lo abbiamo intervistato. Ci ha spiegato Ubuntu come un’etica che vede nella lealtà delle relazioni reciproche l’elemento che tiene unite le persone, e che è sempre attraverso l’Ubuntu, come regola di vita basata sulla compassione e il rispetto degli altri, che il counseling agisce.
Mentre lavoravamo a questo numero, abbiamo pensato di riprendere il concetto, ma lasciando che ne fosse lui il portavoce in prima persona. Ecco cosa ha detto a Evoluzioni.
Tutto chiaro? Sì e no: in redazione è nata la discussione su come tradurre correttamente quello che Nsona dice nel video (c’è da dire che abbiamo una fornita schiera di counselor con elevate competenze linguistiche). Per darvi l’idea, ecco uno stralcio da uno scambio interno: “[…] la forma ngabantu in lingua zulu corrisponde al nostro complemento di causa o di mezzo, quindi ’tramite o a causa di altre persone’. Ancora una volta, il nesso è relazionale e non puramente ontologico. […] Ubuntu enfatizza l’interconnessione profonda e la dimensione etica: è attraverso il mio relazionarmi con te che tu acquisisci la tua umanità e viceversa io la mia tramite te”.
Paradossalmente, l’interdipendenza non sembra essere un concetto facile da condividere a parole. In sintesi, ecco cosa noi abbiamo compreso da Ubuntu. Noi siamo, esistiamo, solo in relazione all’altro da noi. L’identità, in altre parole, si costruisce attraverso un dialogo con l’altro in costante evoluzione.
Lo so, l’ho presa un po’ alla larga. Ma era per spiegare che è con questo sguardo puntato sulla complessità e ricchezza delle relazioni, quindi, che vi diamo il benvenuto dentro il secondo numero di Evoluzioni.
Il tema, del resto, era in qualche modo stato annunciato dai resoconti delle tre giornate del congresso IAC che si è tenuto a Napoli nel giugno 2024: è stata una bella occasione anche per noi di creare connessioni, tra cui quella con Dominic Nsona e molte altre che condivideremo prossimamente. Ma cominciamo a esplorare questo secondo numero: poiché non ci può essere connessione senza confronto, possiamo iniziare dalla sezione Dialoghi il nostro viaggio all’interno dei nuovi contenuti online.
Nell’intervista a Marco Girardello – socio della cooperativa bee.4 altre menti, che opera nel carcere di Bollate – e a Salvatore Torre – ergastolano detenuto da 33 anni – ci appare chiaro come la nostra professione possa davvero fare la differenza nel percorso di vita di una persona detenuta, creando uno spazio di ridefinizione identitaria che altrimenti le sarebbe negata. Le due testimonianze, tra l’altro, sono imprescindibili: l’una dà senso all’altra, in una interdipendenza valorizzante che regala potenza alle due voci.
Altri due articoli investigano invece l’interconnessione virtuosa tra contesti diversi: il dialogo con Corrado Celata, direttore del Servizio regionale supporto piani e programmi di promozione della salute di Regione Lombardia, dimostra come le connessioni tra politica, salute e counseling motivazionale possano facilitare i cambiamenti negli stili di vita a rischio dei cittadini. Con il caso di #SpazioCounselingPerTe, invece, viene raccontata da Laura Torretta l’iniziativa che si inscrive nel solco di una partnership tra AssoCounseling e Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale), per portare il beneficio del counseling all’interno delle organizzazioni di lavoro. Anche in questo caso, si parla di connessioni generative, feconde.
E, sempre in tema di connessioni, cosa ci avvicina di più all’altro dell’intimità sessuale? Un articolo di Lisa Lattanzi ci introduce all’approccio su questo tema del counseling, che può aiutare le persone a raggiungere maggiore consapevolezza. Quella capacità di cui c’è grande necessità, dato che molte persone giungono da lei impreparate a gestire la complessità relazionale legata ai diversi livelli dell’intimità.
Una conferma viene anche dalle nuove generazioni: è la denuncia che fa il giovane artista Giovanni Romano (2003), tra coloro che esporranno a inizio novembre a Milano alla nuova edizione di Art is Young. È l’autore dell’opera che illustra la nostra copertina, dal titolo Leaf me Alone! e così la spiega: «Partendo dal mio corpo, indago la condizione di solitudine come risultato di una tendenza a meccanizzare la relazione intima e sessuale con l’altro, che è anche frutto di un’eredità generazionale. Ciò che cerchi nell’altro non è quello che pensi di volere».
Ci è sembrato importante dare spazio a questo sguardo, come memento del fatto che la capacità di connessione non è scontata: è necessario coltivarla, con consapevolezza e competenza, appunto.
Del resto, come spiega bene Giorgio Piccinino nel suo articolo, non siamo ancora nell’età dell’appartenenza, ma solo in quella della sopravvivenza, e propone una serie di interrogativi sull’evoluzione della natura degli esseri umani, che ha portato al prevalere della bellicosità rispetto alla connessione, alla vicinanza e all’amore.
Ma il momento in cui, forse, ci rendiamo più conto della potenza delle connessioni, è quando queste vengono a mancare. L’importanza del rito nella morte: spiritualità e counseling come sostegno, ci porta a esplorare una nuova dimensione del Grief Counseling: la valorizzazione di rituali personali come strumento ricco di simbologia e spiritualità per superare il lutto. La stessa spiritualità che ci permette la connessione con l’invisibile, come già suggerito dall’idea della rete di Indra citata all’inizio di questo editoriale.
Molte sono le suggestioni e gli stimoli che vi proponiamo in tutte altre sezioni: Vita da counselor raccoglie le testimonianze di Fabio Artigiani e, di nuovo, di Dominic Nsona – potevamo perderci la chance di chiedergli come si fa il counselor in Africa?
Le parole del counseling sono dedicate ovviamente al tema del numero, così come le tante segnalazioni di libri, mostre, film, raccolte in Ispirazioni.
Counseling nel mondo ci restituisce le mille forme che la nostra professione prende nei diversi Paesi, dai counselor della GenZ, ai chatbot usati nel counseling scolastico a Taiwan… Insomma, potete divertirvi a spaziare.
Una cosa avrete notato: grazie alle magiche connessioni della redazione, abbiamo una nuova arrivata, Romina Bagatin, che ha reso possibile a Evoluzioni offrire anche contenuti video. Benvenuta!
Ma non è ancora il tempo di salutarci, perché Evoluzioni continuerà a pubblicare articoli anche tra un’uscita e l’altra.
Ecco qualche anticipazione di quelli a cui stiamo lavorando: una video intervista a Christine Bhat, presidente della American counseling association; due conversazioni, una con Anna Castiglione, ricercatrice in Psicologia ambientale presso il Dipartimento di psicologia e scienze cognitive di UniTrento e una con Davide Mariotti, Assistant Professor of Counseling – Education & Educational Psychology Department alla Western Connecticut State University.
Insomma, rimanete in connessione!
Perché Ubuntu ngumuntu ngabantu: ognuno di noi è ciò che è, in virtù di ciò che insieme siamo.
Image credit: L’opera in copertina è un particolare di Leaf me alone! di Giovanni Romani (di seguito in versione integrale), 2022-2023. Foto-collage digitale e interventi pittorici con pastelli ad olio su carta, dimensione 240×90 cm.
Giovanni Armando Romani (2003) ha in origine lasciato traccia di sé nel disegno e nella pittura, ma nel suo percorso accademico e professionale ha spesso trovato nell’unione di più discipline la possibilità di una sinergia espressiva molto efficace. Il corpo come tramite rimane la fonte centrale dei suoi lavori e studi.
Mischia media diversi e sperimenta riprese di cortometraggi e videoarte.
Collabora con LuxAeterna, Eva Scarsella, e Ambra Castagnetti, l’esperienza con Romeo Castellucci ha dato spessore alla sua formazione come performer.
Questa opera ci è stata offerta da Art is Young nel segno di una partnership che ci permette di fare conoscere giovanissimi artisti. I primi di novembre si terrà la terza edizione della mostra organizzata da questa associazione (qui i dettagli).