Prosegue il racconto della nostra redazione della IAC Conference di Napoli (qui puoi scaricare il programma). Dopo il resoconto della prima giornata che potete raggiungere cliccando qui, ecco i temi più in evidenza nella seconda sessione, altrettanto interessante e avvincente. Sempre in attesa del prossimo numero della rivista, dove non mancheranno gli approfondimenti sugli aspetti più stimolanti. Buona lettura!
E QUANNO È OVERO NUN CÈ STA RITORNO
“Quando è vero non c’è ritorno” questo detto napoletano è la dedica che nel suo intervento la Presidente di AssoCounseling, Alessandra Benedetta Caporale, ha fatto alla realtà della nostra professione. Caporale ha presentato “Essere counselor in Italia: una storia di resilienza e creatività”, uno speech che ha generato entusiasmo per i contenuti, certamente densi di significato, ma soprattutto per la passione infusa. Dalla gioia di essere di fronte a una platea internazionale, allo sgomento delle guerre vicine a noi, dove si consuma il disprezzo per la vita umana. Ma la speranza in una umanità più forte non può venir meno in noi che, come counselor, possiamo condividere e rendere concreti valori quali la resilienza e il benessere, in un’ottica evolutiva. È difficile essere counselor in Italia: occorre confrontarsi continuamente con le difficoltà di venire considerati appartenenti a una professione di serie B, in un conflitto politico costante, alimentato dall’ordine degli psicologi. Eppure, potrebbe essere naturale sedersi ad uno stesso tavolo per discutere sui vari temi, e invece i tentativi di destabilizzazione superano l’esigenza di intervenire sulla definizione dei confini. Ma il counseling ha avuto il coraggio di resistere e andare avanti, attraverso il fiorire di tante storie, progetti, reti, riviste… L’invito è di mantenere alto il dibattito culturale, che non confini la relazione di aiuto in ambito sanitario, perché non c’è un solo modo di evolvere, e ben venga la multidisciplinarità. È il momento di uscire dall’angolo, di posizionarsi in una cornice chiara. Quindi, l’invito di Caporale è quello di coltivare il vero che resta, di stare in connessione e, con il cuore pieno di emozione, ci ha dedicato una canzone struggente di Enzo Avitabile e Pino Daniele, dal titolo evocativo: “È ancora tiempo”, c’è ancora tempo, per l’amore, per la positività della vita. Grazie Alessandra.
COUNSELOR, UNA FIGURA STRATEGICA
Lo speech “Building Community Resilience: A Pratical Guide” ha posto interessanti domande. Wendy Schweiger-Moore, direttrice del NBCC, il National Board for Certified Counselors e Mehmet N. Akkurt hanno spiegato la loro funzione – quale ente indipendente – nel mettere in atto programmi di certificazione per counselor. Nato nel 1982, nella Carolina del Nord, l’ente conta al momento 75.000 professionisti accreditati. Nel 2003 è stato costituito un dipartimento dedicato a coadiuvare altre organizzazioni fuori dagli USA, ma l’avere a che fare con il resto del mondo pone di fronte alla complessità, perché ogni caso è a sé stante. L’idea di un curriculum unico per tutti i counselor era stata avanzata e perseguita in quel periodo storico dalla stessa Oms, che investiva molto in questa figura, ritenuta strategica in situazioni anche estreme, da “trincea”. Furono formate nel mondo varie professionalità, al fine di rendere il programma più capillare possibile. Venivano formati anche i medici, per aiutarli a distinguere il malessere fisico da quello mentale. Il Medio Oriente è una zona dove il nostro lavoro è molto apprezzato, per ovvi motivi ma, in ogni caso, il contatto diretto, l’andare sul posto laddove è richiesto l’intervento, il dialogare l’uno di fronte all’altro, è il canale privilegiato. Come anche il lavorare sui lati positivi di ogni gruppo socioculturale, trasformando le diversità in punti di forza.
UN PROGETTO PER UNA COMUNITÀ CHE SI RINNOVA
La Prof. Johanna Monti, Chiara Veneri e Noella I. Barison, hanno affrontato l’argomento “Luoghi, Comunità, Narrazioni. Counseling e costruzione di comunità consapevoli. Il progetto Kinesis network e la nascita di una partnership”. Il progetto Kinesis è nato da un incontro casuale avvenuto in un paesino dell’Irpinia recentemente restituito a nuova vita, Frigento. Ne è nato un progetto fra mondo accademico, amministrazione pubblica, cittadini, associazioni e imprenditoria. Al centro un’operazione di cittadinanza attiva nel campo della rigenerazione delle “aree interne”, che si propone lo sviluppo di territori in via di spopolamento, insieme a un metodo educativo e innovativo per il tirocinio di studenti universitari al servizio della comunità europea (Erasmus). Al centro vi sono scambi di conoscenze, buone pratiche e idee innovative per costruire nuove identità, per ri-narrare i luoghi, per alimentare il diritto alla “restanza” (come opposto alla partenza). Qui un counselor può fare molto, con la sua attitudine alla molteplicità trasversale, all’accoglienza di nuove idee e persone.
L’OMBRA DELLA GUERRA
Marvin Westwood, Richard LaFleur, Ingeborg Muller-Hoagen e Jurgen Muller-Hoaghen hanno parlato su “The Long Shadow of War: Counselling Clients Experiencing Intergenerational Taume”, ovvero l’ombra lunga della Guerra, i cui disastri non si fermano ai combattimenti, ma proseguono negli anni e fra le generazioni. Guerra-Trauma-Resilienza, un processo che interviene laddove i traumi della guerra vanno a rompere l’equilibrio umano fra mente e corpo per generare disturbi importanti, fra i quali ansia, anaffettività, o comportamenti dannosi, come il ricorso all’abuso di sostanze. Il trauma, se non affrontato e gestito, può riversarsi anche sulle generazioni future, per diventare “storico” o “intergenerazionale”, manifestandosi con alterazioni del dna. E, quando il danno risiede a livello inconscio, il nostro agire inconsapevole sarà per la stragrande maggioranza condizionato da quell’evento, e comprendere dove esso risieda è molto complesso. Non soltanto la guerra combattuta con le armi, ma anche l’oppressione politico-sociale delle minoranze sono fonte di traumi, sviluppando senso di fallimento, di colpa, di inutilità. La vergogna porta al silenzio, all’abuso, e per questo il percorso degli interventi a sostegno dei soggetti con trauma prevede l’accoglienza, il riconoscimento di essere in qualche modo “danneggiati” (“posa il bagaglio”), e la ripartenza, accompagnando nell’individuazione di obiettivi strategici, nel potenziamento delle capacità di ognuno a ripartire. Tutto questo trova un contenitore ideale nei gruppi di soggetti che vogliono condividere reciproche esperienze, coadiuvati dai professionisti, dove si creano connessioni anche attraverso drammatizzazione. Il racconto finale di uno dei professionisti, sul bombardamento di Dresda del ’45 e sul campo di Dachau, quando lui e la moglie erano piccoli, e le conseguenze di tutto ciò su di loro, hanno riportato molti di noi ai ricordi dei nostri nonni o dei nostri genitori sui soprusi, le violenze e i lutti della Seconda guerra mondiale.
NESSUNO SI SALVA DA SOLO
Pietro Pontremoli ha creato suggestioni interessanti affrontando il tema dei sentimenti morali nel counseling. Ha iniziato chiedendo un applauso alle persone che chiedono il nostro aiuto, grazie alle quali possiamo esercitare questa professione. La relazione che si crea con esse, mutuando dalla teoria di Adam Smith, è mossa da tre passioni: simpatia, benevolenza, amore di sé. Una relazione, dunque, che favorisce sentimenti che ci spingono ad essere migliori come esseri umani, e che possono essere replicati. Del resto, il sentimento morale, per Adam Smith, consta di principi che inducono a interessarsi alla sorte degli altri ed alla loro felicità. Per David Hume la morale presuppone il sentimento. Nel counseling i sentimenti morali sono la base della relazione, e per questo chi lo pratica deve avere una preparazione approfondita e trasversale, essere umanamente multidimensionale. C’è un nesso consequenziale fra realtà, relazione e sociale. Il primo passo è l’appartenenza a noi stessi, il sentirsi appropriati. Winnicott aspettava che chi si era recato da lui arrivasse da solo a capire in maniera creativa e con gioia immensa, perché soltanto noi stessi possiamo crearci un nostro modo di essere. Noi counselor ascoltiamo per ore le persone, e non lo facciamo per tecnicismo, ma perché parte della nostra ontologia. E quindi il porsi delle domande, chiedersi il perché e il significato di qualsiasi cosa si faccia, è condizione imprescindibile per “mettere mano” alla nostra e alle vite altrui. Facciamo del bene, ma quando ci viene richiesto, e – soprattutto – non c’è alcuno che abbia il monopolio del benessere. Il counseling, in definitiva, aiuta a capire che nessuno si salva da solo, ed è uno degli strumenti che permettono di rendere l’esistenza più appagante e gaia.
IL PERDONO COME CURA DI SÉ
Richard S. Balkin ha parlato di “Practicing Forgiveness”, ovvero la pratica del perdono. Da ebreo, Balkin denota le differenze insite in tre parole chiave, rappresentative di metafore legate al perdono: Kappara (perdono spirituale di Dio), Selicha (perdono di restituzione) e Mechila (scacciare, allontanare un debito). Interessante l’ultimo termine, legato a uno stato nel quale non ci sentiamo più in credito, dove quindi non sussiste più neanche la necessità che l’altra parte saldi il proprio debito. È il non aspettarsi più niente, il non pretendere una riparazione. Come conseguenza, è stato analizzato il tema della riconciliazione, e quando e se essa può essere di beneficio. Si può sempre rinegoziare il rapporto, infatti, se c’è rimorso (pentimento) e conseguente cambiamento interiore: allora la riconciliazione può essere di beneficio. Il perdono, comunque, non è uno strumento diagnostico, ma di processo, un processo dinamico, interpersonale o intrapersonale, perché ogni situazione è unica.